Cineteatro Astrolabio
via G. Mameli, 8
20852 Villasanta MB
Regia di Paolo Genovese
con Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco, Valeria Puccini
Genere Drammatico – Italia 2023, durata 121 minuti
In inglese ci sono tre parole che definiscono la solitudine: aloneness, loneliness e solitude. La prima allude alla solitudine fisica, la seconda alla solitudine emotiva e quindi a un senso di fallimento, di abbandono. La terza, infine, è una solitudine positiva, che coincide con l’autorealizzazione, la calma e la maturità, oltre che con un “tempo di qualità”.
I personaggi de Il primo giorno della mia vita le sperimentano tutte e tre le solitudini e, grazie a un deus ex machina dal viso stanco e gli abiti stazzonati, cercano di passare dalla seconda alla terza. Prima dell’arrivo del loro traghettatore imperfetto e appassionato di jazz, hanno tutti rinunciato a una vita balorda, che li ha privati degli affetti, delle certezze e del coraggio di manifestare i propri bisogni. E così eccoli: chi su un ponte, chi sul cornicione di un palazzo, chi in automobile con una pistola premuta sotto al mento, chi nella propria cameretta con un vassoio di ciambelle che fa schizzare la glicemia alle stelle.
Non fa sconti il regista di Perfetti sconosciuti e prende di petto uno dei grandi rimossi della nostra società cattolica più che laica, che identifica nel suicidio un atto di rivolta contro Dio, invece che una libera scelta, un gesto di protesta, la massima espressione del libero arbitrio. Riprende i suoi personaggi con più di una macchina da presa Genovese, dimostrando ancora una volta di essere un bravo filmmaker, e al principio predilige gli interni: l’abitacolo di una vecchia Volvo in cui l’autoradio ingoia musicassette, stanze di un hotel a due stelle dove anche i fiori sono scoloriti, qualche bar e ristorante. Siamo lontani, insomma da Immaturi, e l’impressione che si ha è quella di un cambio di passo che nasce da un’esigenza di analisi e forse autoanalisi. L’effetto è potentissimo, e siccome è di dolore che si parla, ciascun attore lavora di sottrazione, a cominciare da Margherita Buy e da Valerio Mastandrea, la prima alle prese con una donna che teme di perdere il dolore sordo di cui si nutre e che presto si trasformerà in senso di vuoto, il secondo affetto da un male di vivere, da uno spleen sempre più soffocante. E se la Emilia di Sara Serraiocco si misura con l’incapacità di fare i conti con un mondo sempre più competitivo, attraverso il piccolo Daniele (Gabriele Cristini) si fa strada il tema della genitorialità imperfetta.
Il Primo giorno della mia vita non è un manuale di autoaiuto sui “no che insegnano a vivere” o su “come rafforzare l’autostima”, ma, attraverso il suo angelo sgualcito che chiede “Permesso?”, ci suggerisce che, se il presente ci opprime, il futuro può avere in serbo per noi cose belle. Ma soprattutto il film intende ribadire che nessuno, ma proprio nessuno, si salva da solo.