Cineteatro Astrolabio
via G. Mameli, 8
20852 Villasanta MB
Regia di Stéphane Brizé
con Guillaume Canet, Alba Rohrwacher, Marie Drucker, Sharif Andoura, Emmy Boissard Paumelle
Genere Drammatico – Francia 2023, durata 115 minuti
Brizé afferma di aver pensato a questa storia nel periodo del Covid avvertendo in modo del tutto particolare un senso di profonda precarietà. Apparentemente, nel suo film, a trovarsi inizialmente in una condizione precaria è solo Mathieu che ha lasciato a piedi (come si dice in gergo) l’intera compagnia che contava sul suo nome a l’affiche (come dicono in Francia) per il nuovo spettacolo. La motivazione è quella che nel passaggio dallo schermo al palcoscenico avrebbe potuto fare una brutta figura. Le sequenze iniziali, con le piccole complicazioni di adattamento alla Spa e con quelle create dalla notorietà, sembrano voler indirizzare il film su un registro da commedia, per quanto raffinata.
Il clima cambia quando Mathieu viene raggiunto da Alice, di origini italiane, che ha saputo della sua presenza e che ora vive lì con un marito medico e una figlia. Tornare a ripensare al passato e scoprire da parte di entrambi un senso di smarrimento nei confronti del presente sembra essere una conseguenza inevitabile.
Brizé ne fa emergere progressivamente i due differenti approcci alla vita. Mentre Alice si è ritirata nel suo bozzolo di moglie e insegnante di piano Mathieu ha sposato una star del telegiornale ed è un attore molto noto. Ma è proprio un pianoforte ad un certo punto ad offrire una lettura simbolica delle loro esistenze: i tasti suonano una musica senza che ci siano delle mani a sfiorarli. È quanto in fondo è accaduto ad entrambi. Hanno continuato ad eseguire il loro spartito senza che ci fossero le mani dell’altro a stabilirne la giusta armonia. Un’armonia che ora sembrerebbe da cercare nuovamente se non fossero intervenuti un distacco e tre lustri di lontananza. Fuori stagione potrebbero essere allora non solo il soggiorno nell’hotel in un periodo non di punta da parte di Mathieu ma anche il reciproco desiderio di tornare ad essere ciò che un tempo erano stati superando rancori e incomprensioni e, soprattutto, le condizioni attuali. Il tempo, affermava un detto popolare, è un gran dottore perché lenisce le eventuali ferite. Purché chi le ha subìte e chi le ha (più o meno volontariamente) inferte non si incontrino di nuovo.
Regia di Jacques Audiard
con Karla Sofia Gascon, Zoe Saldana, Selena Gomez, Adriana Paz, Edgar Ramirez
Genere Musical/Drammatico – Francia 2024, durata 130 minuti
Emilia Pérez è un film a misura di Jacques Audiard: smisurato, enfatico, barocco, imprevedibile. La prova ulteriore della sua volontà di rinnovarsi con un gesto formale e assertivo mai visto prima. Sulla carta, la breve descrizione di Emilia Pérez lasciava forse un po’ perplessi: a Città del Messico un pericoloso narcotrafficante si sogna ‘princesa’ e assolda un avvocato per una missione costosa e assolutamente sorprendente: trovare un chirurgo discreto che ‘corregga’ il suo destino. Il proposito è radicale ma più sottile di quanto sembri. E una canzone di apertura dopo, siamo travolti. Perché Emilia Pérez canta, danza, spara, ama, fa a pugni, arringa, abbatte, si batte, risorge e ripara per due ore e dieci senza tempi morti.
È uno spettacolo che si reinventa continuamente, un film pieno e generoso, a fior di pelle, di un’empatia totale, di un humour feroce e un senso consumato del tragico. Le giunture saltano e Jacques Audiard mescola le carte con gli ormoni, raccontando i destini musicali di un temibile boss pentito e del suo alleato avvocato, arenata in un mondo di uomini.
Cambiare sesso dunque ma anche natura perché Manitas diventa Emilia ed Emilia crea, con un gesto finalmente umano, un’associazione di beneficienza per ritrovare i corpi delle vittime che ha massacrato. Il film è attraversato dall’idea che la società possa auspicare un progresso morale smontando tutti i valori associati alla costruzione del maschile. E la questione della mascolinità è sempre al centro del cinema di Audiard, troppe volte definito “virilista”.
Eppure la virilità c’entra poco con lui, che si occupa degli uomini quando sono ‘al tappeto’. È la crisi maschile che interroga con la questione dell’eredità e della trasmissione, la questione del debito da pagare o da cancellare per concedersi il diritto di avanzare. Audiard affida sovente alle donne il ruolo di risollevarli. E sebbene rare, si rivelano sempre solide e determinate, rassicuranti e redentrici. Avvenire dell’uomo, la donna incarna il suo futuro luminoso, questa volta in un musical che canta in spagnolo e flirta con l’implausibile. La storia non si preoccupa affatto della verosimiglianza. Sappiamo tutti che un criminale del calibro di Manitas non può cedere da un giorno all’altro alle sirene del pentimento. Non basta cambiare sesso. Lo sa anche Audiard che prende in contropiede il musical americano ‘coreografando’ una redenzione (im)possibile in un contesto tragico, quello dei desaparecidos e dell’impossibile lutto di troppe famiglie messicane.
Regia di Stéphane Brizé
con Guillaume Canet, Alba Rohrwacher, Marie Drucker, Sharif Andoura, Emmy Boissard Paumelle
Genere Drammatico – Francia 2023, durata 115 minuti
Soffermarsi a guardare i propri vicini dalla finestra era una pratica incurante prima che Alfred Hitchcock ci obbligasse a confrontarci con essa. Se con Psycho diverrà problematico perfino fare una doccia, già con La finestra sul cortile la vista sul vicinato non è più solo un’apertura innocente, ma il presupposto per tramutare un’innocua abitudine in momenti di raggelante tensione, per giocare con le pulsioni quotidiane e trasformarle in qualcosa di perturbante. Ancora una volta per il regista britannico l’avvincente trama gialla è quindi solo la superficie, l’involucro di una complessa architettura che affonda le sue fondamenta nel piacere della visione e nelle passioni dello sguardo. Come a teatro, sui titoli di testa si alzano delle tendine che aprono all’intero spazio della messa in scena. Non è tuttavia il teatro, bensì il cinema e le sue tecniche a muovere completamente il racconto e a costituire l’oggetto della riflessione di Hitchcock: la macchina da presa si sposta di finestra in finestra fino a mostrarci il punto di origine dello sguardo che ci accompagnerà durante tutto il film, l’appartamento di Jefferies.
Nel presentarci in tutta la sua completezza l’universo filmico e i vari personaggi che catalizzeranno la nostra attenzione e quella del protagonista, Hitchcock dimostra come il cinema, finestra voyeuristica per eccellenza, sia la più perfetta realizzazione dei desideri legati all’atto del vedere. Nel film tutte le varie protesi ottiche diventano un modo per soddisfare le proprie pulsioni (non a caso, la schietta infermiera Stella definisce il teleobiettivo “un buco della serratura portatile”). Allo stesso modo, anche l’ingresso in scena della protagonista femminile è pura espressione di un desiderio visivo. Prototipo di donna perfetta, Lisa Freemont è uno sguardo languido che si avvicina verso lo spettatore e che domanda, sia nella folgorante bellezza che nei comportamenti, continua attenzione. Così come attenzioni e interesse reclamano le guerre dei sessi e i drammi sentimentali che si consumano nei vari appartamenti, facendo continuamente “distrarre” lo sguardo di Jefferies e il nostro anche nei momenti meno indicati, come quando si sta per scoprire la verità probabile uxoricida.
Per questo, una volta di più, lo sguardo di Hitchcock si identifica meno con il protagonista che con lo spettatore curioso di cinema, quello stesso tipo di spettatore che Jefferies si ritrova a incarnare ogni volta che partecipa con un puro coinvolgimento ottico ed emotivo a quel che vede attraverso le finestre dei vicini. In fondo, tutto ciò che sta dentro ad una cornice e che ci da la possibilità di vedere non visti rappresenta una potenziale storia. Basta solo che la potenza del nostro sguardo la renda tale.