Cineteatro Astrolabio
via G. Mameli, 8
20852 Villasanta MB
Regia di Estibaliz Urresola Solaguren
con Sofia Otero, Patricia López Arnaiz, Ane Gabarain
Genere Drammatico – Spagna 2023, durata 125 minuti
Aitor detto Cocò ha otto anni e un alter ego, Lucia: se Aitor è nato biologicamente maschio, Lucia è la femmina che il bambino ha sempre sentito di essere. La madre percepisce questa differenza in suo figlio e cerca di accoglierla, mentre la nonna, pur essendo molto affezionata al nipotino, la rifiuta tout court, e anche la comunità rurale che circonda la famiglia non è pronta a venire a patti con il concetto stesso di un’identità transgender in via di sviluppo. Durante un’estate trascorsa in campagna vicino alle arnie dei produttori locali di miele tutti dovranno confrontarsi con la possibilità che esistano ventimila specie diverse di api e almeno altrettante identità di genere, scegliendo da che parte stare nello spettro dell’accettazione di questa variegata diversità.
20.000 specie di api è l’opera prima della sceneggiatrice e regista spagnola Estibaiz Urresola Solaguren ed è già valsa l’Orso d’Argento al Festival di Berlino per la Migliore attrice a Sofia Otero, la bambina che interpreta il ruolo di Aitor comprendendone a fondo e restituendone in mille sfumature tutto il tormento identitario: un’interpretazione davvero strabiliante per sensibilità e per mimesi di genere. Come sempre a fare la differenza, oltre alla qualità della recitazione della piccola Otero, è il modo in cui Urresola Solaguren ha scelto di mettere in scena questa storia, attraverso una regia agile e inquisitiva che si intrufola negli ambienti che racconta così come nella personalità complessa dei suoi personaggi. 20.000 specie di api esplora il tema del genere non solo attraverso il/la suo/a protagonista ma anche attraverso le figure della madre, della nonna e di una zia che ha forse attraversato la stessa crisi identitaria di Aito/Lucia ma in un’epoca in cui non era possibile portarla in superficie. Ognuna di queste donne è a sua volta impegnata a confrontarsi con la propria femminilità, e questo in un contesto culturale latino che sull’argomento ha regole non scritte ma assai ben codificate.
Altri tema cui il film allude sono il conflitto fra il desiderio di preservare la memoria, e dunque anche la tradizione culturale, e quello di andare incontro al cambiamento, o la vergogna sociale nel non riconoscersi nella propria comunità di riferimento che si manifesta tanto nelle minzioni notturne di Aitor quanto nella volontà della nonna di salvare dal macero solo una scultura, quella appunto intitolata “Vergogna”. Non sapremo mai quale fra le tante pulsioni contrapposte avrà la meglio, né se Aitor potrà finalmente diventare per tutti Lucia: ma è sufficiente mettere sul piatto queste questioni per cominciare a porci le domande che la contemporaneità ci mette davanti in modo sempre più frequente, e per impedirci di chiamarcene fuori.
Regia di Thea Sharrock
con Olivia Colman, Jessie Buckley, Anjana Vasan, Timothy Spall, Malachi Kirby
Genere Commedia 2023, durata 100 minuti.
Nel 1922 a Littlehampton la routine di una piccola cittadina viene sconvolta da una serie di lettere anonime oscene e cariche di insulti, indirizzate a Edith Swan. È una donna devota, cristiana, la sua fama di rettitudine e impeccabilità morale la precede. Tutto il contrario della sua vicina di casa Rose Gooding, immigrata irlandese vivace, ribelle e anticonformista. Sarà lei la prima sospettata, e subito arrestata, come autrice delle anonime missive. Sarà vero? A fare luce sulla vicenda, una giovane poliziotta poco rispettata, che insieme alle donne di quartiere si impegnerà a scoprire la verità.
Fare commedia in modo arguto, sottile, raffinato, è arte sempre più rara. Appartiene di sicuro alla penna di Johnny Sweet e alla maestria registica di Thea Sharrock, che firmano un’opera deliziosa, scorretta e imperdibile. Al centro c’è un mistero da risolvere: lettere oscene piene di insulti dal mittente sconosciuto. Siamo nel primo ventennio del Novecento, le donne non sono ben viste in società, e Sharrock ne sottolinea con amara ironia a più riprese la realtà ingiustamente subalterna. A partire dalla protagonista Edith Swan, che vive nella pia devozione cristiana ed è del tutto sottomessa ai voleri e alle isterie del padre/patriarca. Due personaggi drammatici, resi più interessanti che mai non solo dall’abile scrittura, ma anche dalle titaniche performance degli attori Timothy Spall e Olivia Colman. Quest’ultima offre l’ennesima prova d’attrice maiuscola, riuscendo perfettamente a calarsi nei panni di una donna repressa, che trova una via di sfogo nell’amicizia inattesa con la vicina Rose Gooding. Rose è un personaggio-chiave, rappresenta la forza vitale che viene da fuori, un’immigrata irlandese con tanto di figlia al seguito, sboccata, anticonformista, ribelle, pronta a scoccare freccette sulla testa degli uomini, non certo a farsi comandare da loro. Anche Jessie Buckley sfoggia una memorabile abilità recitativa, è perfetta nel dare corpo e grinta alla vera “outsider” della storia, una donna moderna, imperfetta, ritenuta “sbagliata” da tutti, eppure profondamente autentica. Il suo modo di vivere decisamente agli antipodi dell’apparente rettitudine di Edith insospettisce, tuttavia, il padre di quest’ultima, che la ritiene colpevole delle anonime sconce missive che gli arrivano in casa. Il sospetto diventa automaticamente accusa ed Edith viene incarcerata.
L’ironia con cui Sharrock porta sullo schermo tutta questa narrazione è feroce e politicamente scorretta, ma soprattutto colpisce tutte e tutti indiscriminatamente: anche le manie delle donne vengono messe alla berlina, dall’irascibilità di Rose al bigottismo di Edith, passando per le loro – indimenticabili – vicine di quartiere, tra cui c’è chi che senza mangiare uova non sa stare. A tutto questo si aggiunge l’umorismo marcato, e amaro al tempo stesso, con cui si affronta in maniera narrativamente ammirevole il fenomeno contemporaneo degli “haters”, attraverso questa storia “più che vera” (avvertono i titoli di testa). L’insulto anonimo selvaggio nasce – come il film non cessa di mostrare – dalla repressione, dalla violenza psicologica domestica, dalla reclusione. E anche un po’ dall’invidia verso chi ha la volontà e la possibilità di vivere una vita libera, lontana dalle imposizioni.
concerto con
Michele Dal Lago – chitarra, voce, narrazione
Gabriele Boggio Ferraris – vibrafono
Un viaggio divertente e insolito nella storia della canzone statunitense.
Alternando canzoni e aneddoti, lo spettacolo ripercorre un secolo di musica statunitense. Dai
primi grandi successi ottocenteschi di Stephen Foster (“il padre della musica americana”), tra i
quali la famosissima “Oh Susannah”, fino ai cantautori degli anni sessanta e settanta. Una contro
storia della canzone moderna che smonta, in modo divertente, tanti stereotipi diffusi al di qua
dell’oceano.